dilluns, de març 09, 2009

IL MURO PIÚ LUNGO DEL MONDO de Pierluigi Sullo. Article a IL MANIFESTO (25 de febrer de 2009)



El Mur més llarg del món, és un article del periodista italià Pierluigi Sullo, en el que posa sobre la taula el tema dels sahrauís a IL MANIFESTO, en aquest article, ens parla de la seva visita als Campaments de Tindouf junt a una Delegació de la Regió del Lazio i la reacció contrària de la diplomàcia marroquina. És interessant veure com la causa sahrauí obre camí a altres llocs d'Europa i del món.

 

Alla fine sono andato tra i saharawi. Da anni, si può dire da decenni, amici e compagni mi raccontavano i loro viaggi, abbiamo pubblicato molti reportage nonché lo straordinario lavoro di Patrizio Esposito, «Necessità dei volti», costruito con le foto tessera o di famiglia dei soldati marocchini uccisi durante la guerra. Ma vedere è meglio che sentir dire. Ci sono andato con una delegazione del Consiglio regionale del Lazio guidata dal presidente, Guido Milana, e di cui facevano parte altri consiglieri, tra i quali la nostra Anna Pizzo [ciascuno ha pagato il suo biglietto, sia chiaro]. Il Consiglio laziale aveva raccolto una certa somma per ristrutturare una scuola, ha inaugurato una classe d’italiano, per la quale fornirà gli insegnanti, e si è impegnato a finanziare la tubatura che consentirebbe di portare l’acqua dai pozzi fino alle case di El Ayoun [o El Aaiun], una delle province della Repubblica araba saharawi democratica [Rasd].

Così, abbiamo conversato con molta gente, incluso il presidente della Rasd, Abdelaziz; abbiamo visitato scuole e altri luoghi sociali; abbiamo attraversato il deserto [non le dune, ma il terreno pietroso delle zone liberate del Sahara Occidentale] fino al famoso Muro marocchino. Famoso? Non poi tanto. I media europei non ne parlano affatto. Eppure è il più lungo del mondo [quasi 2400 chilometri], il più sorvegliato [170 mila soldati marocchini], il più armato [5 milioni di mine] e il più costoso [mantenerlo costa ogni anno, si pensa, quasi 600 milioni di euro]. I Muri, come sappiamo, sono simboli forti: a Berlino come a Nicosia, a Tijuana come in Palestina. Ma ignorare un sopruso di queste dimensioni è un simbolo ancora più forte. Pure, da decenni l’Onu dà ragione ai saharawi e cento paesi nel mondo riconoscono ufficialmente la Rasd. Però nessuno di questi paesi è europeo. Nemmeno l’Italia, che pure i saharawi giudicano il loro amico in Europa: i governi italiani hanno sempre votato a favore dei saharawi all’Onu e il nostro parlamento ha impegnato il governo a riconoscere la Rasd. Una piccola breccia nella Ue, dal punto di vista dei saharawi. Eppure, nulla si muove dal 1991, quando la tregua interruppe la guerra ed entro due anni si sarebbe dovuto tenere un referendum per stabilire se l’ex colonia spagnola voleva diventare indipendente o restare sotto la sovranità marocchina.

I saharawi aspettano ancora quel referendum. Sarebbe uno scandalo, non fosse che viviamo tutti sotto l’imperio della realpolitik: il Marocco è un alleato prezioso contro l’integralismo islamico e per frenare l’immigrazione «clandestina» dall’Africa, questo pensano i governi spagnolo e francese, e poi nel Sahara Occidentale ci sono i fosfato, la pesca, si cerca il petrolio «off shore»… E dunque la visita che in questi giorni l’inviato dell’Onu sta facendo nella zona non porterà probabilmente a nulla. La nomina del leader libico, Gheddafi, a presidente dell’Unione africana potrebbe suscitare qualche speranza. Il fatto è però che il Marocco e tutti gli altri regimi del Nord Africa sono complici dall’Unione europea. E per la visita di Milana ad Abdelaziz, l’ambasciata marocchina in Italia ha perfino protestato.

Perciò, a voler essere realisti, i saharawi lì sono e lì resteranno. A vederli più da vicino, non danno però l’impressione di essere rassegnati o pessimisti, anzi. Quelli che trent’anni fa nacquero come accampamenti di rifugiati, senza nulla [perfino senza uomini, che erano tutti a combattere, ragione per cui a prendere in mano la situazione furono le donne] sono oggi delle città. Di case fatte di mattoni d’argilla cotti al sole, con strade dissestate e polverose, con l’acqua nei cassoni e l’energia ricavata da piccoli pannelli fotovoltaici collegati a batterie, con i bambini che vanno via quando il caldo si fa insopportabile [9 mila in Spagna, 600 in Italia]. Ma con le scuole, i negozietti, i campetti di calcio, le case delle donne, le sedi delle istituzioni locali democratiche, e perfino il cinema [intitolato a «Tom Benetollo»]. Sono molto poveri, i saharawi, ma hanno una grande dignità. E sono simpatici, allegri perfino. Stare con loro qualche giorno è una medicina ai mal di testa [e di cuore] che i tg ci provocano ogni sera. Perciò abbiamo deciso di fare la copertina di Carta settimanale [esce venerdì] proprio su questa infinita e scandalosa non-notizia.